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Gruppo: Manowar

Album: Gods Of War

Label: Magic Circle

Anno: 2007

Nazione: USA

Genere: Heavy Metal

Fans, guai ad esserlo, si incorrerebbe facilmente nel fenomeno del fanatismo che conduce ad un annullamento del proprio senso critico che permette ad un uomo di scindere ciò che ritiene bello dal brutto. I fans dei Manowar sono forse i peggiori rappresentanti di questa categoria di persone. Dicono che questo disco sia un capolavoro, ma loro lo avranno ascoltato nell'ottica di ciò "che sembra", non certo nell'ottica di chi ha amato i Manowar devoti a Paun Stanley, dei Manowar loud'n proud di Fighting The World, dei Manowar fast'n furious di Kings of Metal. Loro, in effetti, i Manowar non li hanno mai ascoltati a voler essere precisi. Ed è per questo che non bisogna lasciarsi influenzare dai loro giudizi, si perchè molte persone cadono nell'errore del tipo "se per loro è bello farà, giustamente, schifo". Se io dico che questo disco è bello, il mio "bello" è quasi l'opposto del loro "bello" e Gods of War, per me, è semplicemente bello. I Manowar non sono più la band di Kings of Metal e Into Glory Ride, è innegabile, sono cambiati, profondamente cambiati, chi si aspettava da loro nel 2007 un disco di vecchio stampo o era un folle o un illuso visionario. I Manowar non abbandonano l'Heavy Metal, ma cambiano decisamente rotta, componendo un disco che va ascoltato nel suo insieme, componendo una storia musicale unica che non può essere scissa in vari brani, producono un suono magniloquente, dove i numerosi pezzi Heavy Metal sono intervallati da lunghi intermezzi di musica strumentale classica. Cosa c'entra la musica classica con l'Heavy Metal? Poco, o, addirittura nulla. Eppure le introduzioni strumentali sono, più che altro, atte ad aumentare la magniloquenza dei brani Heavy Metal veri e propri. D'altronde anche i Manowar degli anni d'oro non sono mai stati nuovi a queste iniziative, anche se qui, ovviamente, portano ciò all'estremo. Tuttavia i brani Heavy Metal presenti dimostrano che i Manowar ci sono ancora, che Eric Adams è il più grande cantante della storia dell'Heavy Metal e che DeMaio, sebbene un pò rincoglionito, riesce ancora a tirar su qualcosa di buono. 

King of Kings si sente, spiccatamente power, il brano viaggia sostenuto dalla grandissima prestazione vocale di Adams (è lui che fa davvero la differenza nei nuovi Manowar). Sleipnir, imperioso componimento dal refrain impeccabile, dalla costruzione vecchio stampo e dalla tuonante batteria di Columbus, si rivela essere il nuovo Manowar definitive (spettacolare). E poi ancora Loki God of Fire dall'incedere a dir poco clamoroso e la sensazionale epic ballad Blood Brother (dove la band dimostra di brillare ancora nel firmamento dell'Epic rock di più pregevole fattura) arricchiscono il tutto. Il disco ci riserva altre piacevoli sorprese che prendono il nome della sontuosa marcia metallica Gods of War (forse l'episodio più alto del disco insieme a Sleipnir) e la trionfale Hymn Of The Immortal Warriors che chiude il tutto. E' vero, questo lavoro potrà far impazzire gli sfigati dell'HM di turno, ma allora dovremmo gettare nel cesso tutti i dischi degli Iron Maiden, dei Judas Priest e compagnia cantante? No, non è così che si ragiona. Bisogna eclissarsi, ignorare totalmente le dicerie di chi con l'HM non è mai andato a pranzo e pensare in propria autonomia. Il più grande difetto del platter è la produzione delle linee chitarristiche e le troppe intro parlate. Tuttavia, stendendo un velo su ciò, questo disco risulta bello e diverso, profondamene diverso dai precedenti lavori. Qui alcuni elementi del Manowar sound sono estremizzati. Ciò può piacere ma, legittimamente anche far schifo. A me, sinceramente, è piaciuto.

Vincenzo Ferrara.
Data pubblicazione: 08/04/2007

Aggiungo alla review la considerazione del mio amico Marco Concoreggi (voce dei Battleroar):

Negli ultimi anni, apparentemente, i Manowar sembravano aver tentato in tutti i modi di inimicarsi i loro fans più sinceri, i quali esigevano -a ragione- una riproposizione dell'assalto sonoro senza compromessi e della drammaticità elettrica che caratterizzarono "The Triumph of Steel". "Semplicistico" (Louder Than Hell), "innocuo" (Warriors of the World) e "pretenzioso" (Gods of War) furono aggettivi che, pur trovando un effettivo riscontro immediato nella più recente proposta musicale del combo di NY, non superarono la prova del tempo. Perchè ora "King" è già un classico, e "Warriors of the World United" un anthem consolidato. Certo, è una band diversa da quella che incise i solchi immortali di "Sign of the Hammer" e "Fighting the World": nondimeno, il coraggio e l'anticommercialità dimostrati con questa ultima release, al di là delle considerazioni sul songwriting, bastano e avanzano a confortare qualunque fan si fosse sentito tradito dall'unica, autentica H/M big band americana rimasta a calcare i palchi più prestigiosi del pianeta. Marco