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Gruppo: Iron Maiden

Album: Piece Of Mind

Label: EMI

Anno: 1983

Nazione: UK

Genere: Heavy Metal


Review a cura di Daniele Cecchini.

1983: siamo alla quarta esperienza in studio per gli Iron Maiden, senza considerare naturalmente i numerosi demotapes incisi negli 70, di cui ho smesso da tempo di tenere il conto. I mesi più caldi per NWOBHM ce li siamo ormai lasciati alle spalle e di quel sound a noi tanto caro del precedente The Number of Beast non c’è più traccia. Gli Iron Maiden di Piece of Mind invece, mostrano un sound completamene rinnovato e rinvigorito da alcune importanti novità. Le sonorità prettamente NWOBHM, infatti, lasciano posto ad una struttura ritmica dei pezzi più fresca, più ottantiana. Quella, nello specifico, che caratterizzerà anche il successivo Powerslave e soprattutto il masterpiece storico, Seventh Son of A Seventh Son. Piece of Mind è un album non da tutti apprezzato, un disco che purtroppo s’è trovato a dover subire l’inevitabile, terribile e fors’anche ingiusto confronto col precedente lavoro del quintetto inglese. Sì, perché all’ epoca della sua uscita questo Piece of Mind fece storcere la bocca a non pochi puristi dell’ Hard ‘N’ Heavy. Ci mise un po’ per ingranare, ma quando lo fece, il successo che riscosse fu universale. In effetti, se ci si ferma a ragionar su, è più che logico aspettarsi quantomeno sorpresa e incredulità di fronte un cotale, sebbene da molti paventato, cambiamento non di stile, ma di approccio vero e proprio con la musica. Ciò non toglie che il risultato sia stato grandioso, e che nel giro di qualche giorno, nel mese di Maggio del succitato 1983 “The Trooper” ( il cui singolo era già disponibile nei negozi da qualche tempo ) e “Piece of Mind” raggiunsero rispettivamente la posizione numero 18 e numero 3 della chart Europea rispettivamente come miglior canzone e miglior disco. PoM è un album che ci mostra dei Maiden come detto innovati. Innanzitutto nella line-up, che registra lo split di Clive Burr dietro le pelli in favore dell’ “infamous” Nicko McBrain che costituirà poi la formazione storica (e più longeva) della band.

 Il platter è costituito da 9 pezzi dalla media compositiva elevatissima. Molti di questi erano, sono e saranno per sempre incisi in calce nella hall of fame dell’ Heavy Metal di ogni tempo. Non saprei davvero cosa aggiungere su pietre miliari come l’ opener “Where Eagles Dare”, oppure “The Trooper”, le cui cover, eseguite dai più disparati artisti, sono numerose come i granelli di sabbia nel mare. Non c’è, e come potrebbe essere altrimenti, la possibilità di rintracciare qualche calo o qualche passo falso: un capolavoro di questa portata non ha punti deboli. Mi preme però soffermare la mia attenzione su un brano in particolare, che sarà particolarmente apprezzato da tutti coloro che, come me, amano profondamente la saga di Frank Herbert: “Dune”. “To Tame A Land” è il nome del pezzo in questione e quando, ormai diversi anni or sono, ho avuto l’occasione di ascoltarlo per la prima volta, mi sono emozionato come poche altre volte nella mia vita di fronte ad un’ opera musicale. Reputo l’opera di Herbert fra le più incredibili mai composte dalla letteratura contemporanea, e questo non poteva che accrescere le difficoltà da parte dei Nostri, nel riarrangiarla musicalmente, ma c’è da ammettere il risultato ottenuto è un riproduzione fatta con impensabile dovizia di particolari. Sorvolando volutamente sulla grandissima performance musicale, ho trovato davvero suggestivi i passaggi in cui si narrano le gesta del Duca Leto Atreides e di suo figlio Paul, il Muad Dib nella terra di Arrikis. Dune, appunto. Piece of Mind è certamente il primo lavoro degli Iron Maiden dell’ era moderna, il primo disco in cui si percepisce nitidamente il marchio di fabbrica che tutt’oggi caratterizza le gesta del combo inglese e che ha loro portato tanta fortuna. La convinzione che opere del genere non verranno mai più riscritte è forte in me: troppe sono le peculiarità che nel tempo sono andate dissipandosi. Lo stile degli anni 80, com’è giusto che sia, è e rimarrà per sempre vivido nei cuori degli appassionati, ma le gesta di chi quegli anni li ha vissuti da protagonista non ci verranno mai più riproposte allo stesso modo in cui i loro interpreti le avevano intese all’ epoca. E forse, visto l’andazzo, oserei dire che sia un bene. Daniele Cecchini.

Daniele Cecchini

Data pubblicazione: 01/08/2007