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Gruppo: Cirith Ungol

Album: Paradise Lost

Label: Restless

Anno: 1991

Nazione: USA

Genere: Epic Metal

Che strano il popolo dell'Heavy Metal, subito pronto a sputare sentenze su band che, magari, fino al giorno prima amava alla follia soltanto perchè il trend della critica volgeva in quel momento verso un comune giudizio negativo. Fu così che a causa di presunte aperture melodiche di un gruppo, centinaia di dischi sono stati snobbati, fraintesi e chi più ne ha più ne metta. Quello che successe a Paradise Lost dei Cirith Ungol fu, più o meno, simile. E' vero, rispetto ai primi infernali e pesanti lavori, Paradise Lost metteva in evidenza un Heavy Metal più lineare, meno stancante, più brillante (un percorso già vagamente intrapreso con il sulfureo One Foot In Hell), ma il tutto non andava a discapito di quella tanto ricercata cupa epicità, anzi, ne esaltava addirittura le caratteristiche. I ritmi meno stressanti e le costruzioni meno opprimenti imprimevano un vigore maggiore ai pezzi riuscendo comunque a donare un senso di triste e profonda epica. Ciò si verificava in maniera diversa ma altrettanto efficace (quanto soggettivamente preferibile) rispetto ai precedenti lavori, dove queste sensazioni epico/musicali erano sovrastate dall'eccessiva pesantezza delle strutture melodiche. Con Paradise Lost i Cirith Ungol quindi completavano il percorso iniziato con One Foot In Hell andando a sfornare forse il lavoro più maturo e completo della loro breve discografia. Inoltre i Cirith Ungol sono stati anche indirettamente penalizzati da quell'attuale mania che tende ad osannare qualsiasi cosa sia di culto, lavori pessimi e non, andando così a penalizzare band del genere davvero valide (ne abbiamo già parlato all'interno della review dei Medival Steel) e sottraendo ad esse anche quell'alone di mistero che era loro tipico.

Tuttavia, nonostante ciò, Paradise Lost, rimane una gemma. Infatti il disco era un concentrato di epicità allo stato puro e bastava ascoltare la opener Join The Legion, che inaugurava il tutto attraverso il suo deciso incedere, per rendersene immediatamente conto. Era ancora epicità a regnare nei ritmi serrati dell spiazzante The Troll, mentre con la cover Fire di Arthur Brown (magistralmente riarrangiata) la band riponeva per un attimo le insanguinate asce da battaglia. L'incedere rovente di Heaven Help Us e l'ottima Before The Lash erano altre dimostrazioni di pregevole Heay Metal mentre i ritmi serrati di Go it Alone ci preparavano all'epico poema conclusivo nonchè vertice massimo dell'intera carriera della band: l'epopea epica, che aveva inizio con la leggendaria ed ancestrale suite Chaos Rising (magmatico componimento all'insegna dell'epicità più straziante ed eroica) passando per la sulfurea Fallen Idols per poi approdare alla malvagia Paradise Lost, chiudeva questa bellissima saga musicale dove acciaio, sangue, dolore, guerra ed eroicità sembravano rivivere, ancora una volta, attraverso la musica.
Vincenzo Ferrara.
Data pubblicazione: 12/12/2006